Voucher: inizio con incertezze sulla comunicazione. Soluzioni possibili
L’articolo 1 del decreto correttivo del Jobs act interviene sulla normativa in materia di lavoro accessorio in senso restrittivo, sostituendo il comma 3 dell’articolo 49 del Dlgs 81/2015, con l’intento di porre un freno all’abuso dei voucher, in sostituzione di contratti di lavoro subordinato. Tale obiettivo è perseguito con la modifica della comunicazione preventiva dell’inizio della attività. Ora la comunicazione alla sede territoriale competente dell’Ispettorato nazionale del lavoro deve essere effettuata entro 60 minuti dall’inizio della prestazione, mentre nella normativa previgente si diceva genericamente «prima dell’inizio della prestazione».
L’apparato sanzionatorio
La garanzia dell’effettivo rispetto della comunicazione preventiva è l’introduzione di una specifica sanzione amministrativa in caso di violazione della disposizione, precedentemente non prevista. La sanzione è stabilita tra i 400 euro e i 2.400 euro in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione, senza possibilità di applicare la diffida. Trattandosi comunque di una sanzione amministrativa è consentito il pagamento della sanzione ridotta nella misura di 800 euro. A rafforzare ulteriormente il contrasto all’utilizzo fraudolento dei voucher è stata inserita anche la previsione di maggiori controlli attraverso una modifica al Dlgs 149/2015. L’articolo 3 del decreto correttivo inserisce tra le funzioni dell’Ispettorato nazionale del lavoro anche specifiche linee di indirizzo per la vigilanza sul corretto utilizzo delle prestazioni di lavoro accessorio.
Problema pratico della comunicazione del voucher: possibili soluzioni
Secondo la nuova normativa, gli imprenditori (esclusi quelli agricoli, per i quali valgono regole in parte diverse) e i professionisti che utilizzano il lavoro accessorio dovranno inviare, almeno 60 minuti prima dell’inizio di ciascuna prestazione, un sms o un messaggio di posta elettronica alla sede territoriale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.
Dal giorno in cui la norma è entrata in vigore (8 ottobre scorso), si è aperto un problema pratico di grande rilevanza: non esistono indicazioni sulle modalità concrete che dovranno essere utilizzate per adempiere al nuovo obbligo. La legge, infatti, stabilisce cosa va inserito nella comunicazione (dati anagrafici o codice fiscale del lavoratore, luogo, giorno e ora di inizio e di fine della prestazione), definisce lo strumento con il quale può essere fatta (email o sms), individua il destinatario dell’atto, ma non precisa un elemento essenziale: quali sono i recapiti da utilizzare per spedire la mail o il messaggio sms.
Fino a quando il ministero del Lavoro non chiarirà i recapiti da utilizzare, le imprese e gli operatori dovranno muoversi in una situazione di grande incertezza; per gestire questa fase si possono ipotizzare tre diverse soluzioni.
La prima – più prudenziale per i committenti – sarebbe di inviare la comunicazione utilizzando gli stessi recapiti già esistenti per il lavoro intermittente. Tale strada è suggerita dalla relazione di accompagnamento al Dlgs 185/16, la quale precisa che per la procedura di comunicazione si dovranno seguire le stesse modalità applicative del lavoro intermittente (quindi, sms al numero 3399942256 o email all’indirizzo intermittenti@pec.lavoro.gov.it). Questa soluzione darebbe una ragionevole certezza circa l’inapplicabilità di qualsiasi sanzione, in quanto sarebbe rispettato pienamente il nuovo obbligo legale.
La seconda – i committenti potrebbero continuare ad utilizzare la procedura vigente prima della riforma, che prevedeva una comunicazione telematica tramite un’apposita sezione sul sito Inps. Questa soluzione probabilmente non sarebbe del tutto rispondente alle nuove norme, che non includono la modalità telematica tra le forme di adempimento dell’obbligo (tale modalità potrà essere introdotta solo con un futuro Dm), anche se attesterebbe la buona fede del committente.
La terza – potrebbe essere quella di non fare nulla, ritenendo inapplicabile l’obbligo di comunicazione finchè non sarà emanata la decretazione ministeriale attuativa. Questa lettura non sarebbe immune da rischi, perché l’obbligo di comunicazione preventiva è comunque entrato in vigore (il rinvio a futuri decreti ministeriali è eventuale e non condiziona l’efficacia del decreto). Tali rischi sono particolarmente pesanti (sanzione amministrativa da 400 a 2.400 euro, moltiplicata per ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione) e quindi sarebbe sconsigliabile procedere in tal modo (a meno che tale soluzione non fosse avallata al Lavoro o dagli organi ispettivi: il tal caso i rischi verrebbero meno).
Va ricordato che il problema non si presenta per gli enti pubblici, le attività non commerciali e le famiglie, che non sono tenuti all’obbligo di comunicazione preventiva.
Nello specifico, mediante sms o posta elettronica, devono essere comunicati, dai committenti imprenditori non agricoli o dai committenti professionisti, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo, il giorno e l’ora di inizio e di fine della prestazione. Agli imprenditori agricoli, si richiede con le stesse modalità di comunicare i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione con riferimento ad un arco temporale non superiore a tre giorni.
Modifiche restrittive
Rispetto alla normativa previgente, la comunicazione preventiva contiene più dettagli che hanno l’intento di consentire un maggiore controllo su tali prestazioni, per cui non è richiesto soltanto il luogo, ma anche il giorno e l’ora di inizio e di fine della prestazione. Inoltre, mentre l’iniziale formulazione dell’articolo 49, comma 3 del Dlgs 81/2015 prevedeva ancora la comunicazione per un arco temporale non superiore ai 30 giorni, il decreto correttivo consente, adesso, anche una comunicazione per un periodo lavorativo più lungo. Invece, per l’agricoltura non può superare i 3 giorni. Siamo dunque di fronte a tre situazioni differenti per la nuova comunicazione preventiva:
• la prima con un obbligo pieno per le imprese e i professionisti;
• la seconda con un obbligo più leggero per le aziende agricole;
• la terza con l’esonero per enti e associazioni senza attività commerciale.