Sull’obbligo di redigere il DVR in ambienti dove operano più imprese

Sull’obbligo di redigere il DVR in ambienti dove operano più imprese

Corte di Cassazione – Penale Sezione III – Sentenza n. 17119 del 24 aprile 2015

Nella sentenza della Corte di Cassazione n. 17119, la stessa esamina il caso in cui in uno stesso luogo di lavoro operano stabilmente i dipendenti di più imprese con riferimento all’applicazione delle norme in materia di salute e di sicurezza sul lavoro ed in particolare alla individuazione del soggetto o dei soggetti obbligati alla effettuazione della valutazione dei rischi e della redazione del relativo documento di valutazione dei rischi. Nel caso in cui, ha affermato la suprema Corte nella sentenza, lavoratori dipendenti da datori di lavoro diversi e non legati tra loro da alcun rapporto di appalto, di somministrazione o comunque da altro rapporto giuridicamente rilevante operano in uno stesso luogo di lavoro, ciascun datore di lavoro è tenuto ad adempiere  all’obbligo della valutazione dei rischi e della redazione del documento di valutazione dei rischi, obbligo che agli stessi rinviene nella loro qualità di datori di lavoro e che non è delegabile. Ove all’esito dell’elaborazione del documento dovessero risultare situazioni di pericolo, ha aggiunto la stessa Corte, al datore di lavoro che non possa in altro modo intervenire per eliminarle non resta che impedire che in quei luoghi i propri dipendenti proseguano la loro attività lavorativa.

Il caso

Il Tribunale ha condannato il Direttore generale di un Policlinico alla pena di euro 3.000,00 di ammenda per il reato di cui all’art. 4 comma 2 del D. Lgs. 19/9/1994 n. 626, come recepito dall’art. 28 del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81, perché nella sua qualità aveva omesso di rielaborare il documento di valutazione dei rischi presenti nei locali della struttura obitoriale di pertinenza e degli spazi comuni utilizzati dal personale che operava nella camera mortuaria. La vicenda era sorta da un’ispezione effettuata da alcuni ispettori del lavoro presso l’obitorio stesso nel corso della quale era emerso che, pur essendo i locali dell’Università degli Studi, negli stessi operavano i dipendenti del Policlinico e che inoltre non era stato redatto il documento di valutazione dei rischi. L’imputato, deducendo l’autonomia giuridica del Policlinico rispetto all’Università, aveva ritenuto di non dovere ottemperare alle prescrizioni degli ispettori del lavoro e di non essere tenuto a redigere il documento di valutazione del rischio, obbligo che, a suo giudizio, incombeva esclusivamente sull’Università.
Il Tribunale, nel ritenere infondati gli argomenti difensivi addotti dall’imputato, ha affermato la responsabilità penale dello stesso sul rilievo che i locali erano adibiti a luogo di lavoro dei dipendenti del Policlinico e che la contemporanea presenza di lavoratori dipendenti da altri datori non valeva ad escludere i reciproci obblighi ma ad implementare, semmai, la necessità di un maggior coordinamento.
Il ricorso in Cassazione e le motivazioni
L’imputato ha fatto ricorso alla Corte di Cassazione alla quale ha chiesto l’annullamento della sentenza di condanna emessa dal Tribunale nei suoi confronti. Lo stesso come principale motivazione del ricorso, ha eccepita l’erronea applicazione dell’art. 4 comma 2 del D. Lgs. n. 626/1994 sostenendo che il Tribunale aveva abdicato al suo dovere di individuare il reale destinatario dell’obbligo penalmente sanzionato, che non può individuarsi nel datore di lavoro dei dipendenti che frequentano gli ambienti di lavoro di altrui titolarità o comunque gestiti da altri, nel caso in esame dall’Università degli Studi. Ha sostenuto, altresì, di avere comunque provveduto, per la parte di propria competenza, ad effettuare, in collaborazione con il responsabile per la sicurezza del Policlinico, le valutazioni poi trasmesse all’Università per la redazione finale del documento.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione. La stessa in premessa ha richiamato gli obblighi a carico del datore di lavoro rivenienti dall’applicazione dell’art. 4, commi 1 e 2, del D. Lgs. n. 626/1994 precisando in merito che  (anche se il principio non era in discussione) sussiste comunque continuità normativa tra l’art. 4, del citato D. Lgs. n. 626, formalmente abrogato dall’art. 304, del D. Lgs. n. 81 del 2008 (Testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) e la vigente normativa antinfortunistica, considerato che il contenuto delle predette disposizioni risulta recepito dagli artt. 28 e 29 dello stesso D. Lgs. n. 81 in relazione ai rischi aziendali ed alle modalità di effettuazione della relativa valutazione.
Tanto premesso la Corte suprema ha fatto osservare che non è stato oggetto di contestazione che all’interno dei locali obitoriali operasse anche il personale dipendente del Policlinico che, secondo quanto testimoniato dal responsabile del servizio prevenzione e protezione del Policlinico, svolgeva in essi le medesime attività precedentemente disimpegnate in altri e diversi locali di pertinenza dello stesso Policlinico risultati inadeguati a seguito della redazione del DVR. Lo stesso RSPP, peraltro, aveva evidenziato di avere chiesto al Rettore dell’Università di produrre il DVR e, non avendo questi provveduto, di avere effettuato un sopralluogo e redatto un verbale, trasmesso al Rettore dell’Università, in cui evidenziava le carenze della struttura e gli interventi da eseguire.
Non c’era pertanto da dubitare, ha sostenuto la Sez. III, che i locali obitoriali che l’Università aveva concesso in uso al Policlinico fossero adibiti a luogo di lavoro anche del personale dipendente dello stesso Policlinico ed ha posto in evidenza in merito che l’ipotesi presentatasi nel caso in esame era del tutto diversa da quella in cui, nel medesimo luogo di lavoro, operano i dipendenti anche dell’impresa appaltatrice o lavoratori autonomi ai quali il datore di lavoro dell’impresa committente abbia affidato lavori, servizi o forniture. In questi ultimi casi, infatti, è la stessa legge, diversamente dal passato, a individuare nel datore di lavoro committente il solo soggetto tenuto alla redazione del documento di valutazione del rischio, ai sensi dell’art. 26, comma 3, del D. Lgs. n. 81/2008. Nel caso di specie, invece, ha proseguito la Sez. III, il medesimo ambiente fungeva da luogo di lavoro per diversi dipendenti i quali operano in modo del tutto autonomo ed al di fuori di un rapporto giuridicamente rilevante con l’altrui datore di lavoro per cui in capo ad ognuno dei datori di lavoro sussiste l’obbligo della valutazione dei rischi e dell’elaborazione del DVR.
Anzi, ha in più precisato la Sez. III, ove, a seguito della elaborazione del documento, fossero emerse fonti di pericolo per la salute dei lavoratori ineliminabili da parte di chi non aveva la disponibilità giuridica dei luoghi di lavoro, la conseguenza non poteva essere diversa da quella che imponeva al datore di lavoro di astenersi dal chiedere ai propri dipendenti di lavorare in una situazione in cui persisteva un pericolo grave e immediato. A maggior ragione non è consentito al datore di lavoro utilizzare i luoghi per i quali manchi del tutto il documento di elaborazione del rischio e ancor più quando, come nel caso di specie, ma successivamente all’ispezione, l’imputato ha potuto far ispezionare i locali, dando così prova di essere nelle condizioni di poter redigere il documento omesso.
Si tratta del resto” ha così concluso la Corte di Cassazione, “di evenienza niente affatto sconosciuta al legislatore che ha previsto la possibilità che nello stesso luogo di lavoro operino lavoratori di più imprese ed ha stabilito, in tal caso, che ciascun datore di lavoro è responsabile per le questioni soggette al suo controllo” per cui “Ne consegue che quando in un medesimo ambiente di lavoro operano stabilmente più lavoratori dipendenti da datori di lavoro diversi e non legati tra loro da alcun rapporto di appalto, di somministrazione o comunque da altro rapporto giuridicamente rilevante, ciascun datore di lavoro è tenuto alla elaborazione del documento di valutazione del rischio. Ove all’esito dell’elaborazione del documento dovessero risultare situazioni di pericolo, al datore di lavoro che non possa in altro modo intervenire per eliminarle non resta che impedire che in quei luoghi prosegua l’attività lavorativa dei propri dipendenti”.