Responsabilità azienda ai sensi del D.Lgs. 231/2001
Sappiamo che la responsabilità dell’azienda ai sensi del D.Lgs. 231/2001 si manifesta quando si verniciano contemporaneamente le seguenti 3 condizioni:
- Una persona fisica commette un reato compreso tra quelli previsti dal D.Lgs. 231/2001;
- Il reato in questione è commesso da un soggetto apicale – persona che riveste funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione anche di fatto – o da un sottoposto – persona sottoposta alla direzione e vigilanza di un soggetto apicale;
- Il reato è commesso nell’interesse – inteso come convenienza ed utilità che la società potrebbe ottenere dal comportamento illecito – o vantaggio – inteso come ottenimento di un risultato economico come conseguenza del comportamento illecito – dell’azienda.
Tuttavia affinché un Ente possa essere ritenuto responsabile del reato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio, ai sensi della condizione sub punto 3 come prevede l’articolo 5 D.Lgs. 231/2001, è necessario che tale vantaggio conseguito non sia fortuito.
La Corte di Cassazione con sentenza 29 ottobre 2015, n. 43689 ha avuto modo di precisare che: “Così facendo, la Corte (d’Appello ndr) è incorsa in un duplice errore: da un lato ha dato per certo quello che era solo una possibilità, dall’altro ha omesso di considerare che la normativa fiscale (art. 109 TUIR) prevede che i componenti positivi (quindi, le plusvalenze) concorrono a formare il reddito, e formano integralmente massa imponibile, nell’esercizio di competenza ovvero nell’esercizio in cui risultano verificate le condizioni di certezza nell’an e nel quantum dei componenti stessi, e sono soggette a tassazione. Con la conseguenza che all’aumento delle plusvalenze corrisponde una maggiore tassazione. Va ancora considerato che la sentenza di primo grado aveva affermato che la falsità contestata nel capo d’imputazione “era di pura contabilità e gestita nel bilancio con valori fasulli oltre ogni immaginazione” e che “solo grazie a questo tipo di operazioni scorrette, (la AS Roma) ha potuto portare una voce attiva dei valori precisati nel capo d’imputazione” realizzando plusvalenze che hanno consentito di chiudere il bilancio dell’esercizio 2001/2002 senza perdite. Indicando, quindi, che i reati di falso contestati erano finalizzati ad un maquillage dei bilanci che, per una società quotata in borsa, si riflette sul valore delle azioni. In effetti, il meccanismo di sopravvalutazione dei giocatori ha come effetto principale di aumentare i valori dell’attivo patrimoniale, anche se, nel complesso meccanismo realizzato, non possono essere esclusi risparmi sul piano fiscale. In questo caso, come rileva la sentenza della Quinta sezione ricorrerebbe l’interesse dell’ente, diverso dal vantaggio che costituisce una sorta di variabile casuale, nei termini posti dall’art. 5, comma 2, d.lgs. 231 che ne esclude la responsabilità se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi, circostanza questa che farebbe venir meno lo schema di immedesimazione organica, ragion per cui l’illecito commesso, pur tornando di fatto a vantaggio dell’ente, non potrebbe più ritenersi come fatto suo proprio. In tal caso, si è osservato, “si tratterebbe di un vantaggio fortuito, in quanto non attribuibile alla volontà dell’ente” (Cass., sez. VI, 23 giugno 2006 n. 32627). Era questo, quindi, l’accertamento che la Corte di appello avrebbe dovuto compiere ed ha, invece, omesso. 3. Alla stregua di quanto sopra, nella reiterata totale carenza illustrativa dei presupposti per ritenere che la falsità sia stata effettivamente finalizzata alla sottrazione di utili alla pretesa tributaria, in presenza tuttavia di elementi contrari, s’impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata” ed ha quindi annullato “senza rinvio la sentenza impugnata per insussistenza del fatto ascritto come illecito amministrativo alla AS Roma S.p.A. al capo a)”.
Si trattava, nel caso in esame, di una compravendita da parte della società sportiva AS Roma di 22 giocatori a prezzi maggiorati.
Siffatte modalità di compravendita unitamente alla dichiarazione delle relative plusvalenze, secondo gli Ermellini, pur integrando il reato di false comunicazioni sociali hanno tuttavia contestualmente concorso a formare il reddito della società con la conseguente sua maggiore tassazione.
Sicché pur non potendosi escludere che nel complesso meccanismo realizzato possa esserci un vantaggio, questo deve ritenersi non prestabilito dai soggetti aziendali ed i Giudici di Cassazione hanno perciò cassato senza rinvio la sentenza impugnata.
La Corte di Cassazione, in parole più semplici, ha così sancito come la responsabilità vada esclusa se i soggetti legati all’ente (siano essi apicali o sottoposti) hanno agito nell’esclusivo interesse proprio o di terzi facendo venir meno lo schema di immedesimazione organica perché, in tal caso, pur essendoci un vantaggio per l’Ente questo risulterebbe comunque del tutto fortuito.