Outsourcing illegittimo se l’appaltatore non ha autonomia
Illegittimo l’outsourcing se l’appaltatore si limita alla gestione amministrativa dei lavoratori. Nell’attuale contesto d’impresa, caratterizzato dall’intensa frammentazione del ciclo produttivo e dal ricorso sempre più frequente alle esternalizzazioni, la Corte di cassazione replica ribadendo che principio cardine del nostro ordinamento è la necessaria identità tra chi assume il lavoratore e chi effettivamente beneficia delle sue prestazioni.
Tale regola (cui può derogarsi solamente con l’istituto del distacco o nell’ambito del lavoro in somministrazione) è diretta a proteggere i prestatori di lavoro dal caporalato e da ogni forma di sfruttamento conseguente alla dissociazione tra la titolarità formale del rapporto di lavoro e la sua effettiva destinazione. Ove ciò si verifica, la sostanza prevale sull’apparenza e i lavoratori sono considerati dipendenti del soggetto che ne ha effettivamente utilizzato le prestazioni.
Nel caso, quindi, di un appalto di servizi endoaziendale (articolo 29 del Dlgs 276/2003), siffatta conseguenza si produce ogniqualvolta il fornitore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, «rimanendo in capo all’appaltatore-datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo» e senza che sia riscontrabile «una autonomia gestionale dell’appaltatore esplicata nella conduzione aziendale, nella direzione del personale, nella scelta delle modalità e dei tempi di lavoro» (così, tra le molte, Cassazione 17359/2013).
Proprio in applicazione di questo principio la sentenza 3178/2017 depositata il 7 febbraio ha ritenuto illegittimo l’appalto nell’ambito del quale la committente (proprietaria delle attrezzature necessarie per l’effettuazione del servizio) «si limitava a richiedere all’appaltatrice solamente un certo numero di ore di lavoro, su base mensile, in base alle specifiche esigenze di ogni periodo, con indicazione dei turni orari, limitandosi l’appaltatrice ad abbinare le persone a tali ruoli».
Ciò in quanto la differenza tra l’appalto lecito e la fornitura irregolare di lavoro «risiede nell’effettivo esercizio del potere organizzativo della prestazione lavorativa e nell’organizzazione dei mezzi necessari all’impresa da parte dell’appaltatore, mentre risulta secondaria la mera sussistenza di un potere organizzativo di tipo amministrativo (ad esempio in tema di ferie o permessi) in capo all’appaltatore».