Lavoro a chiamata utilizzabile anche con il riordino dei contratti del Jobs Act

Lavoro a chiamata utilizzabile anche con il riordino dei contratti del Jobs Act

Il lavoro intermittente o a chiamata resta utilizzabile, ma con precisi limiti: secondo le regole stabilite dai contratti collettivi (in mancanza di contratto collettivo, i casi di utilizzo sono individuati con decreto del ministro del Lavoro) e, in ogni caso, per impiegare lavoratori con più di 55 anni di età e meno di 24 anni. È il risultato del riordino dei contratti introdotto dal Jobs act (Dlgs 81/2015 , sulla Gazzetta Ufficiale n. 144 del 24 giugno 2015).

Ci si è chiesti se il job on call nella nuova versione sia applicabile anche alle attività discontinue indicate nella tabella del Rd 2657/1923, dato che il Dm 23 ottobre 2004 – che richiama il Regio decreto del ’23 – è stato emanato in virtù di alcune norme della legge Biagi ora abrogate. La risposta, comunque, dovrebbe essere positiva, visto che l’articolo 55, comma 3, del decreto attuativo dispone che, fino all’emanazione dei decreti richiamati dalle disposizioni dello stesso Dlgs, trovano applicazione le «regolamentazioni» vigenti: sul punto, in ogni caso, sarebbe utile una rapida conferma ufficiale per dare certezza agli operatori.

Il contratto di lavoro intermittente (o a chiamata) è quello, anche a tempo determinato, tramite il quale un lavoratore si mette a disposizione di un datore di lavoro privato (nella Pa il contratto non si applica), che ne può usare la prestazione lavorativa entro precisi paletti.

CONDIZIONI DI UTILIZZO DEL CONTRATTO A CHIAMATA

Ipotesi ammesse

1. Secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi (in mancanza, i casi di utilizzo sono individuati con decreto) è possibile svolgere le prestazioni in periodi prestabiliti nella settimana, del mese o dell’anno.

2. Con soggetti con meno di 24 anni di età (purchè le prestazioni siano svolte entro il venticinquesimo anno) e con più di 55 anni

Il limite massimo

1. Esclusi turismo, pubblici esercizi e spettacolo, il lavoro intermittente è ammesso, per ogni lavoratore  con lo stesso datore di lavoro, per 400 giornate di lavoro in 3 anni solari: se si supera il limite, il rapporto si trasfroma a tempo pieno e indeterminato

2. Basta rispettare una media di impiego di 11 giorni al mese X 36 mesi è uguale a 396 giorni di lavoro

Il contratto

Nel contratto vanno precisati tra l’altro:

1. durata e ipotesi che consentono la stipulazione

2. trattamento economico e indennità di disponibilità (se prevista)

3. forme e modalità con cui il datore può chiedere la prestazione

4. tempi e modalità di pagamento della retribuzione e dell’indennità

5. misure di sicurezza necessarie per il tipo di attività dedotta in contratto

Le comunicazioni

1. Bisogna inviare il modello Unilav entro le 24 del giorno precedente l’assunzione. Prima dell’inizio della prestazione o di un ciclo di prestazioni di durata non superiore a 30 giorni, il datore di lavoro deve  comunicarne la durata alla Dtl, con sms o e-mail

2. In caso di mancata comunicazione della chiamata, si applica la sanzione amministrativa da 400 a 2.400 euro per ogni lavoratore

L’indennità

1. L’indennità mensile di disponibilità, divisibile in quote orarie, è stabilità dai contratti collettivi in misura non inferiore all’importo fissato con Dm

2. E’ esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo ed è soggetta a contribuzione per l’effettivo ammontare, in deroga al minimale. Il lavoratore deve informare il datore se è malato o non può rispondere

I divieti

E’ vietato il lavoro intermittente:

1. per sostituire lavoratori in sciopero

2. in unità in cui ci sono stati nei sei mesi precedenti licenziamenti collettivi di lavoratori adibiti alle stesse mansioni o in cui c’è una sospensione del lavoro o riduzione dell’orario per lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto

3. se il datore non ha fatto la valutazione dei rischi

Il trattamento economico e normativo, per i periodi lavorati, è parametrato su quello dei lavoratori di pari livello, a parità di mansioni svolte, ma deve ovviamente essere riproporzionato in base alla prestazione di lavoro effettivamente eseguita.

Il principio si estende, oltre che alla normale retribuzione, alle ferie, all’indennità di malattia, a infortunio, congedi di maternità e parentali e così via. Nulla è dovuto (tranne l’indennità di disponibilità, se questa è pattuita) per tutto il periodo durante il quale il lavoratore resta disponibile a rispondere alla chiamata del datore di lavoro. Questi periodi, a prescindere dal fatto che sia stata erogata o meno l’indennità di disponibilità, non devono essere conteggiati per il calcolo del contributo di licenziamento (messaggio Inps 10358 del 27 giugno 2013).

Infine, il decreto legislativo di riordino dei contratti precisa che, nei casi in cui sia necessario conteggiare l’organico, per eventuali istituti di natura legale (per esempio la disciplina applicabile in caso di licenziamento illegittimo) o contrattuale (ad esempio i permessi sindacali), i lavoratori intermittenti devono essere computati in proporzione all’orario di lavoro effettivamente svolto nell’arco di ciascun semestre.