Industria 4.0, credito di imposta per le spese per formazione dei dipendenti

Industria 4.0, credito di imposta per le spese per formazione dei dipendenti

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I commi da 46 a 56, dell’articolo 1 della legge 205/2017 (legge di Bilancio 2018), introducono un credito d’imposta collegato alle «spese di attività di formazione» sostenute dalle imprese nel settore delle tecnologie previste dal piano Impresa 4.0.
La norma si riferisce indistintamente «a tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica, dal settore economico in cui operano nonché dal regime contabile adottato». Vengono, quindi, potenzialmente coinvolte tutte le imprese, senza alcuna esclusione.
Le spese ammesse al credito d’imposta sono quelle per attività di formazione finalizzate ad «acquisire o consolidare» le conoscenze sulle tecnologie previste dal piano, che devono essere destinate al solo personale dipendente; rimangono esclusi, quindi, i soggetti che intrattengono rapporti di natura diversa con le imprese, come, per esempio, i titolari di collaborazioni coordinate e continuative e ancor più, naturalmente, i titolari di partita Iva che collaborano con le imprese.
La formazione, per essere ammissibile, non deve essere quella ordinaria o di natura periodica organizzata dall’impresa per «conformarsi» alle normative attualmente vigente e deve trovare applicazione negli «ambiti» indicati dal corposo allegato “A” alla legge di 205 del 2017.

Il funzionamento del credito d’imposta
Per quanto concerne la determinazione del credito d’imposta, esso risulta essere riconosciuto nella misura del 40% delle spese sostenute dall’impresa ma con riferimento al solo costo «aziendale del personale dipendente» e per il periodo in cui è occupato nelle attività di formazione ammesse all’agevolazione.

I parametri da tenere in considerazione sono quindi due:
1. dapprima va individuato il costo aziendale del singolo dipendente, che dovrebbe essere dato dal costo effettivamente sostenuto per il dipendente al quale viene erogata la formazione, comprensivo, si ritiene, anche della quota parte di Tfr maturato nel periodo di formazione;
2. il secondo parametro è dato dal costo riferito al periodo nel quale il dipendente è occupato nelle predette attività formative.
È da capire, e in merito si attende il decreto attuativo, se nel costo aziendale siano da ricomprendere anche i ratei ferie, permessi ecc., ovvero se si intende il costo lordo orario, gravato dei contributi a carico dell’azienda.
La misura del credito d’imposta è stabilita nel 40% del costo di cui si è detto, fino a un limite massimo annuale di 300mila euro per ciascun beneficiario.
Il credito d’imposta, che deve essere indicato sia nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo in cui è maturato, ossia in cui le spese agevolabili sono state sostenute, sia nelle dichiarazioni relative ai periodi d’imposta successivi nell’ambito dei quali il credito viene utilizzato, fino, evidentemente, a quella relativa all’esercizio in cui il credito stesso viene esaurito, risulta godere di alcuni specifici benefici:
– innanzitutto, non concorre alla formazione del reddito, ai fini Irpef e Ires;
– non concorre nemmeno alla formazione della base imponibile Irap nel senso che non risulta essere tassato dall’imposta regionale;
– non rileva nemmeno ai fini del rapporto indicato agli articoli. 61 e 109, comma 5, del Tuir, che stabiliscono limiti di deducibilità, rispettivamente, degli interessi passivi e delle spese generali, deducibilità influenzata dai componenti di reddito esclusi, appunto, da tassazione.
Per quanto riguarda, invece, l’utilizzo, il credito d’imposta può essere usato solo in compensazione dal periodo d’imposta successivo a quello in cui i costi agevolabili sono stati sostenuti e non si applica né il limite di compensazione annuale di 250mila euro, previsto per i crediti d’imposta da indicare nel quadro RU della dichiarazione dei redditi, né il limite annuo di 700mila euro previsto per tutte le compensazioni cosiddette orizzontali, ovvero il limite di 1 milione di euro stabilito per i sub-appaltatori che risultano avere un volume di affari costituito, nell’anno precedente, per almeno l’80% da prestazioni rese in esecuzione di contratti di subappalto.

La certificazione dei costi
I costi agevolabili possono generare il credito d’imposta alla ulteriore condizione, oltre a quelle già viste, che essi siano certificati da uno dei soggetti indicati dalla norma, ossia dal soggetto incaricato alla revisione legale, qualora presente, ovvero da un professionista iscritto al Registro dei revisori legali o da una società di revisione, qualora nell’impresa non sia presente tale figura.
La certificazione rilasciata dal revisore deve necessariamente essere allegata al bilancio con riferimento al quale sono state sostenute le spese agevolabili e viene prescritto che nell’assunzione dell’incarico, il revisore deve osservare i principi di indipendenza «elaborati ai sensi dell’articolo 10 del … Dlgs 39 del 2010 e, in attesa della loro emanazione, quelli previsti da codice etico dell’International Federation of Accountants (Ifac)».
Le imprese che, non avendo obblighi di revisione, non sono dotate di tale organo e che, quindi, devono rivolgersi, per la certificazione dei costi, a un revisore o a una società di revisione esterna, possono computare nel credito d’imposta le spese sostenute per l’apposita attività di certificazione contabile entro il limite massimo di 5.000 euro.
È bene far presente, da ultimo, che la norma prevede che nei confronti del revisore legale dei conti o del professionista responsabile della revisione legale dei conti che, nell’esecuzione degli atti per il rilascio della predetta certificazione di cui si è detto, incorra in colpa grave, si applicano le sanzioni penali previste dall’articolo 64 del codice di procedura civile, rubricato “responsabilità del consulente”.