Il contratto a termine deve essere firmato anche dal dipendente
Con la pronuncia 2774/2018 ad inizio febbraio che, seppur redatta in forma semplificata si segnala per il rigore della motivazione, la sesta sezione civile della Corte di cassazione (cosiddetta sezione filtro) ha riformato la sentenza resa dalla Corte di appello di Milano in materia di contratto a tempo determinato.
Confermando la decisione di primo grado, la Corte territoriale aveva infatti dichiarato valido il contratto di lavoro a termine intercorso tra il ricorrente e il proprio datore di lavoro, «pur se consegnato al lavoratore con la sola sottoscrizione del datore; ciò sul rilievo che il lavoratore, reso edotto, nel corso di apposita riunione, del vincolo di durata della rapporto di lavoro, aveva accettato le condizioni illustrate dal datore medesimo, per come dimostrato dall’avvenuto svolgimento di attività lavorativa dal giorno successivo alla predetta riunione».
Per comprendere la decisione della Cassazione è necessario ricordare che, in base all’articolo 1, comma 2, del Dlgs 368/2001 (applicabile ai fatti di causa e ora “sostituito” dall’articolo 19, comma 4, del Dlgs 81/2015, di analogo contenuto) l’apposizione di un termine finale al contratto di lavoro «è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto» antecedente o contestuale all’inizio del rapporto.
Tale previsione, come più volte sottolineato dalla giurisprudenza, «tende a realizzare un incremento del livello di forma del contratto che è strettamente funzionale alla qualità soggettiva del contraente prestatore di lavoro, il quale deve essere posto in grado di percepire con certezza quale sia la reale natura del rapporto e di controllare la effettiva sussistenza delle ragioni poste a base della sua instaurazione» (tra le tante, Cassazione 4418/2016).
Ebbene, principio generale è che quando la forma scritta è richiesta ad substantiam (ossia per la validità dell’atto), e fatto salvo il caso in cui il contraente «ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova» (articolo 2724 del codice civile), l’esistenza di un contratto tra le parti è insuscettibile di essere provata con mezzi – quali, ad esempio il ricorso alla prova testimoniale o presuntiva – diversi dall’esibizione del documento scritto.
Con riferimento, quindi, al caso specifico, la Corte conclude affermando che, ai fini della prova del contratto a termine, non è «sufficiente la consegna al predetto lavoratore del documento sottoscritto dal solo datore, poiché la consegna in questione – benché seguita dall’espletamento di attività lavorativa – non è suscettibile di esprimere inequivocabilmente una accettazione (peraltro irrilevante ove manifestata per fatti concludenti) della natura limitata del rapporto, ma, plausibilmente, la semplice volontà del lavoratore di essere parte di un contratto di lavoro».
Sicché, per tale via, la Cassazione accoglie il ricorso del lavoratore e rinvia alla Corte di appello per le statuizioni – anche di ordine risarcitorio – che seguiranno alla conversione del rapporto in un contratto a tempo indeterminato.