Cassazione: Licenziamenti, economici, scelte datoriali insindacabili
La Corte di cassazione interpreta le norme come si deve: parliamo del giustificato motivo di licenziamento sul quale sono state scritte, ormai da anni, inesattezze.
La nozione di licenziamento per giustificato motivo oggettivo è stata scritta nel 1966 e da allora non è mai stata modificata. Né la «legge Fornero», né il «Jobs act», hanno influito sulle ragioni giustificatrici del licenziamento individuale, ma soltanto sui rimedi conseguenti alla loro illegittimità. Fatto, il quale, in parole povere significa che un licenziamento è legittimo o meno oggi esattamente come lo era nel 1966. Non è cambiato assolutamente nulla.
Nella norma non c’è scritto affatto che sia necessaria una «ristrutturazione» o che l’impresa debba essere in crisi perché il licenziamento sia giustificato. Né mai alcuno l’ha interpretata così per 50 anni. Solo recentemente, qualche giudice ha introdotto questa interpretazione restrittiva che fa dire alla legge quello che legge non dice, anzi vieta. Il giudice infatti non può mai sindacare le ragioni che stanno alla base di una scelta imprenditoriale (sul punto, si leggano la recente Cassazione 27585/16).
Speriamo, adesso, che tutti i giudici di merito (cioè Tribunali e Corti d’appello) si adeguino, come è loro dovere, alla decisione della Corte suprema.
La nozione di giustificato motivo è contenuta nell’articolo 3 – mai modificato – della legge 604 del 1966, (quella che disciplina i licenziamenti individuali), che recita: «Il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa».
Nella prima parte della norma (un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro) si definisce il giustificato motivo soggettivo (si badi, non la giusta causa, che è altra nozione contenuta nell’articolo 2119 del Codice civile). La seconda parte, invece, definisce il giustificato motivo oggettivo di licenziamento: ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. Come si vede, la norma non fa affatto riferimento alle condizioni economiche dell’azienda. Al contrario, la norma si riferisce proprio all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al suo efficientamento (il regolare funzionamento) ed è sempre stata interpretata nel senso che l’impresa non aveva più bisogno di quell’attività o di quel posto di lavoro, semplicemente per sua scelta insindacabile.
Negli anni ’70, sui manuali di diritto del lavoro per l’Università si faceva proprio l’esempio dell’acquisto di un nuovo macchinario che determinasse l’esigenza di ridurre la mano d’opera. E così la norma è stata sempre interpretata ed ogni altra interpretazione appare, come osserva la Corte di cassazione, come contraria alla legge ed alla Costituzione il cui articolo 41 riconosce espressamente il diritto dell’imprenditore anche di determinare la dimensione della sua organizzazione e di creare efficienza. Si tratta di un punto fondamentale. L’incertezza, su questo punto, fa male al sistema delle imprese e, in ultima analisi, all’economia del Paese.