Sanzione al dipendente annullata se il codice disciplinare non è affisso
La Corte di cassazione ha affermato l’illegittimità della sanzione disciplinare conservativa irrogata da un ente locale per non essere stato previamente affisso in luogo accessibile ai dipendenti il codice disciplinare. Tale conclusione è stata raggiunta, in quanto disattesa la disciplina dettata per la generalità dei dipendenti – privati e pubblici – dall’articolo 7 della legge 300/1970, a norma del quale le norme disciplinari la cui infrazione comporti l’applicazione di sanzioni devono essere portate a conoscenza dei lavoratori, ma anche con riferimento all’articolo 25 del Ccnl 6/7/1995 Enti locali, alla stregua del quale al codice disciplinare deve essere data la massima pubblicità mediante affissione in luogo accessibile a tutti i dipendenti.
Osserva la Cassazione nella sentenza n.15218 depositata ieri che la previsione del contratto collettivo del comparto Enti locali ha introdotto una regola vincolante di natura convenzionale, che impone di dare diffusione al codice, a prescindere dallo specifico contenuto disciplinare dell’addebito, attraverso le particolari forme di pubblicità previste dai contraenti collettivi.
Il caso oggetto di esame era relativo alla sanzione disciplinare della sospensione dal servizio, con privazione della retribuzione per quattro giorni, inflitta alla dipendente di un Comune sul presupposto della violazione di una disposizione interna sull’utilizzo di uno specifico protocollo nella gestione di una pratica amministrativa. All’esito del giudizio d’appello, la sanzione conservativa era stata dichiarata illegittima per non essere stata data adeguata pubblicità al codice disciplinare mediante affissione nei locali del Comune.
A questa decisione si è opposta la difesa dell’ente locale, che ha segnalato come la condotta inadempiente ascritta alla dipendente costituisse violazione dei doveri fondamentali alla base del rapporto di lavoro, risultando non necessaria in tale ipotesi, alla luce di un consolidato indirizzo della giurisprudenza sulle condotte contrarie al “minimo etico”, la previa affissione del codice in luogo accessibile ai dipendenti.
La difesa del Comune affermava, inoltre, l’irrilevanza della previa affissione alla luce del fatto che nel pubblico impiego privatizzato i contratti collettivi di lavoro sono pubblicati in Gazzetta Ufficiale e rivestono, pertanto, la qualità di atti normativi, configurando una categoria di fonti di diritto oggettivo. In questa prospettiva, riprendendo una interpretazione resa dalla giurisprudenza di legittimità, il Comune aveva sostenuto la tesi per cui la pubblicazione in Gazzatta Ufficiale del contratto collettivo era sufficiente a rendere conoscibile il codice disciplinare da parte della generalità dei dipendenti, risultando per ciò stesso inutile e superflua l’affissione del medesimo codice nei locali aziendali.
La Corte di cassazione con la sentenza n. 15218/2015 ha rigettato sotto entrambi i profili prospettati la tesi del Comune, riaffermando l’obbligo della pubblica affissione del codice disciplinare, nella misura in cui impone una particolare forma di pubblicità, è tassativa e non può essere vanificata da argomentazioni di segno contrario.
La norma contrattuale collettiva ha introdotto a carico degli enti locali, in questo senso, un obbligo di pubblicità del codice disciplinare che non può essere omesso – pena la illegittimità della sanzione applicata ai dipendenti – e sopravvive nonostante la intervenuta pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, anche se la condotta inadempiente ascritta al lavoratore possa risultare contraria alle regole del vivere civile.