Nel Jobs act conviene la conciliazione – come funziona
La nuova conciliazione sui licenziamenti introdotta dal Dlgs 23/2015 sul contratto a tutele crescenti sarà destinata a spostare gli equilibri tra le procedure conciliative usate finora. Tra i punti di forza del nuovo strumento c’è la sua convenienza economica che, per il datore, aumenta al crescere della retribuzione del dipendente (come evidenziano gli esempi in pagina), e – per ambedue le parti – è legata al fatto che l’importo versato per conciliare è esente da tasse e da contributi.
Altri punti di forza sono la chiarezza della disposizione, che prevede passaggi semplici, e la misura certa dell’indennità prevista.
La norma istitutiva (articolo 6 del decreto legislativo 23/2015) risponde ai principi guida della legge 183/2014 (articolo 1, comma 7, lettera b) di «promuovere il contratto a tempo indeterminato (…) rendendolo più conveniente (…) in termini di oneri diretti e indiretti».
Lo strumento
La nuova offerta conciliativa (che è facoltativa) consiste nella possibilità per il datore di lavoro di offrire al lavoratore destinatario di un provvedimento di licenziamento (indipendentemente dalla causa) entro i termini di impugnazione stragiudiziale e in una sede “protetta”, un importo pari a una mensilità della retribuzione di riferimento per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a 18 mensilità, con la consegna di un assegno circolare. Per i datori con organico fino a 15 dipendenti, l’importo è dimezzato, con un minimo di una mensilità e un massimo di sei.
Per le frazioni di anno gli importi sono riproporzionati e le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni contano come un mese intero.
Per determinare l’indennità, bisogna prendere come base la retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr: sono da escludere le voci collegate a ragioni occasionali, come disciplinato dall’2120 del Codice Civile, salvo che i contratti collettivi non dispongano condizioni di miglior favore.
In base all’interpretazione fornita dalla circolare 6/2015 della Fondazione studi dei consulenti del lavoro, la retribuzione cui fare riferimento è quella dell’ultimo anno (o frazione di anno) dovuta (indipendentemente se corrisposta) al lavoratore, rapportata al mese.
L’accettazione dell’assegno da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia all’impugnazione dello stesso, anche se il lavoratore l’ha già proposta. Se invece il lavoratore rifiuta l’offerta, potrà impugnare il provvedimento e procedere in giudizio.
I destinatari della procedura sono gli assunti a tempo indeterminato a partire dal 7 marzo 2015 e i lavoratori a termine stabilizzati da questa data: a queste due categorie si aggiungono i lavoratori apprendisti mantenuti in servizio al termine del periodo di formazione e i dipendenti di aziende che hanno superato la soglia dimensionale individuata dall’articolo 18, della legge 300/70, sempre dopo il 7 marzo.
La procedura
Quanto all’iter da seguire, sebbene la norma non lo preveda, pare opportuno procedere con un invito scritto al lavoratore che espliciti i termini dell’offerta conciliativa, anche per fissare la convocazione in sede protetta, e poi ratificare in quel contesto la consegna materiale dell’assegno circolare.
Resta da chiarire se l’offerta possa avvenire entro i 60 giorni, potendosi però concludere anche dopo: su questo punto la norma sembra restrittiva, poiché aggancia l’efficacia della procedura alla consegna dell’assegno circolare, il cui termine è, appunto, stabilito in quell’arco temporale. Salvo diversi chiarimenti, sarebbe dunque prudente attenersi alle tempistiche di legge.
Peraltro, si tratta di un aspetto che si ripercuote sul rispetto dei termini della comunicazione obbligatoria di monitoraggio: infatti, il comma 3, dell’articolo 6, del Dlgs 23, ha stabilito l’onere, per il datore, di inviare una comunicazione online entro 65 giorni dalla cessazione del rapporto (ulteriore rispetto a quella obbligatoria di cessazione) nella quale deve essere indicata l’avvenuta o la non avvenuta conciliazione (le istruzioni sono state fornite dal ministero del Lavoro con la nota 2788 del 27 maggio 2015).
La mancata trasmissione è punita con la sanzione amministrativa da 100 a 500 euro, ridotta a 166,66 euro (ammessa a diffida).
La nuova conciliazione lascia intatto il diritto del lavoratore a percepire la Naspi, se ne ha i requisiti (interpello del Lavoro 13/2015) mentre resta fermo l’obbligo del datore di versare all’Inps il ticket sui licenziamenti.