Correlazione tra la valutazione dei rischi e la formazione dei lavoratori
Le due colonne portanti di ogni politica di prevenzione di infortuni e malattie professionali sono la valutazione dei rischi lavorativi e la formazione di tutti gli attori della sicurezza aziendale. E questi due elementi indispensabili sono tra loro correlati: è evidente che a una valutazione assente o inadeguata non può che conseguire una formazione inadatta.
Per evidenziare questa correlazione possiamo fare riferimento ad un recente pronuncia della Corte di Cassazione, la Sentenza n. 15204 del 5 aprile 2018, relativa ad un infortunio occorso ad un saldatore durante il posizionamento delle barre sul cantilever, sorta di struttura sporgente a mensola.
L’infortunio e le condotte omissive addebitate all’imputato
Nella pronuncia della Cassazione si indica che con sentenza del 6 febbraio 2017 la Corte di appello di L’Aquila, in parziale riforma della sentenza di primo grado, previa concessione all’imputato delle attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante e rideterminazione della pena, “ha confermato la declaratoria di penale responsabilità dell’imputato in relazione alle lesioni colpose cagionate al dipendente A.B.C., in occasione dell’infortunio sul lavoro presso la sede della ditta individuale del V.DC. (fatto del 20.4.2010), avvenuto con le seguenti modalità: il lavoratore, con la qualifica di saldatore, transitando davanti ad un bancale di tubolari di ferro del peso di circa 20 quintali, veniva attinto dalle barre posizionate sullo scaffale, che gli cadevano addosso, cagionandoli le lesioni in atti indicate”.
In particolare si addebita all’imputato, quale datore di lavoro, “una serie di condotte omissive, causalmente riconducibili all’infortunio, quali l’omessa redazione di un documento di valutazione dei rischi, l’omessa designazione di un RSPP, l’omessa informazione ai lavoratori sui rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro e di formazione dei medesimi sui rischi riferiti alle mansioni, l’omessa adozione nei locali di lavoro di apposita segnaletica di sicurezza”.
E, secondo la Corte di appello, “la mancanza di una formazione in senso formale dei lavoratori e soprattutto la mancanza di formazione e di un DVR riguardo alle procedure esecutive delle operazioni di movimentazione e di stoccaggio, rispetto alle quali regnava grande confusione tra i dipendenti dell’azienda – avendo alcuni (tra i quali il N. e la persona offesa) riferito che non era necessario rilegare le barre prima di riporle sulla scaffalatura, altri invece affermato il contrario – ha determinato l’evento, nel senso che, a giudizio della Corte territoriale, la rovinosa caduta delle barre – esclusa l’ipotesi difensiva di un intervento attivo del lavoratore – poteva essere stata provocata unicamente da un maldestro riposizionamento delle stesse, avvenuto la sera prima dei fatti, quando le barre erano state rimesse sullo scaffale, dopo essersi ribaltate, così come si trovavano”.
Questi, molto in sintesi, alcuni dei motivi del ricorso presentato:
- “Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ricostruzione della dinamica dell’Infortunio e dunque in ordine all’accertamento della condotta omissiva colposa del datore di lavoro e della norma antinfortunistica violata”;
- “Violazione di legge e vizio di motivazione, sotto il profilo del travisamento della prova, per avere la Corte di appello fondato il proprio convincimento su un risultato di prova, la testimonianza della persona offesa costituitasi parte civile, incontestabilmente diverso da quello reale, non essendo stato accertato che le barre il giorno prima dell’Infortunio fossero state riposte in maniera disordinata sulla rastrelliera”;
- “Violazione di legge e vizio di motivazione circa l’accertamento della colpevolezza dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio in ordine alla prova del nesso causale tra la condotta omissiva colposa del datore di lavoro e la lesione riportata dal dipendente”.
Le indicazioni della Corte di Cassazione
La Cassazione rileva come i motivi di ricorso possano “essere trattati congiuntamente” e al riguardo “si deve dare atto che, in effetti, su molti punti la ricostruzione del giudice di appello si fonda su argomentazioni che non spiegano adeguatamente come siano cadute le barre: la tesi è che sarebbero state mal riposte, ma il video difensivo dimostrerebbe (a detta del primo giudice) che ciò non basterebbe a determinare la caduta dei profilati, posto che, secondo quanto processualmente accertato, i bracci della rastrelliera su cui erano riposti, presentando un angolo di 3 gradi, ne avrebbe impedito in ogni caso la caduta”.
Tuttavia – continua la Cassazione – “le censure del ricorrente non colgono nel segno” in quanto le modalità di caduta dei profilati non sono rilevanti ai fini del giudizio di responsabilità del datore di lavoro. Responsabilità che attiene invece a “puntuali addebiti di carattere omissivo, che prescindono dalla esatta ricostruzione delle modalità dell’incidente: non avere il datore di lavoro approntato tutta una serie di accorgimenti, previsti dalla normativa antinfortunistica (predisposizione di DVR, informazione e formazione dei lavoratori sui rischi e sulle procedure di stoccaggio ecc.), che ben avrebbero potuto evitare/ridurre il rischio di verificazione dell’evento (caduta delle barre addosso al lavoratore), comunque pacificamente concretizzatosi, secondo modalità certamente non riconducibili ad un comportamento abnorme o eccentrico del soggetto infortunato”.
E in questo senso, in estrema sintesi, “entrambe le sentenze di merito hanno correttamente addebitato al prevenuto, sul piano colposo omissivo, i due profili della mancata gestione del rischio e del deficit di formazione dei lavoratori (ivi compreso il lavoratore infortunato), che hanno avuto indubbia rilevanza causale nella determinazione dell’evento”.
La mancanza di valutazione e formazione
Infatti il primo giudice ha “correttamente evidenziato la totale assenza nell’impresa dell’imputato di un documento di valutazione dei rischi nella forma autocertificata prevista obbligatoriamente dalla legge, sicché all’epoca dell’infortunio non vi era alcun documento che prevedesse la valutazione del rischio di caduta dall’alto delle barre collocate sul cantilever”.
E non vi era alcun documento “che attestasse una formazione o informazione dei dipendenti su rischi comuni o su rischi specifici connessi a quello di caduta del materiale accatastato sulle rastrelliere”.
Ed è stato accertato, con valutazione di merito congrua e logica, “come tale insindacabile in cassazione, che i lavoratori dell’impresa del V.DC. non erano a conoscenza di disposizioni specifiche che avessero ad oggetto le corrette modalità di esecuzione dei lavori, con riguardo ai rischi connessi al posizionamento delle barre sul cantilever”.
Insomma, secondo il primo giudice, “non era stato previsto dal datore di lavoro, nelle forme di legge, un rischio di caduta dall’alto di materiali stoccati, né i lavoratori erano stati formati e informati sulle procedure da utilizzare per minimizzare questo rischio”.
E tale valutazione risulta consonante con quella formulata dalla Corte d’appello, “secondo cui la mancanza di una formazione – formale e sostanziale – dei lavoratori riguardo alle procedure esecutive delle operazioni di movimentazione e di stoccaggio, nonché l’omessa redazione di un documento di valutazione dei rischi, ha avuto rilievo determinante nella causazione del sinistro e nell’addebito di responsabilità colposa del prevenuto”.
La Cassazione ribadisce poi che la valutazione dei rischi ed il relativo documento “costituiscono efficaci strumenti al servizio della sicurezza, consentendo la messa a fuoco delle situazioni pericolose e, conseguentemente, l’adozione delle adeguate misure di sicurezza. Le omissioni o carenze del documento non fanno, tuttavia, venire meno gli ulteriori obblighi datoriali previsti dalla legge (Sez. 4, n. 24452 del 19/03/2015, Fontanin, Rv. 26372601). La constatazione del rischio impone ai garanti medesimi, nell’ambito delle loro rispettive competenze, di adottare le misure appropriate, nel caso totalmente mancate: il rischio non è stato previsto né valutato, quindi non è stato in alcun modo governato dal V.DC., nonostante la sua indubbia esistenza, tanto da non formarne neanche oggetto di informazione-formazione dei lavoratori, come era invece doveroso e obbligatorio per legge”.
Dunque entrambe le sentenze di merito sono sostanzialmente concordi “nell’evidenziare la responsabilità del datore di lavoro, per avere pacificamente omesso di approntare il DVR e di formare i lavoratori sui rischi connessi all’utilizzo delle scaffalature in questione, omissioni ritenute congruamente riconducibili, sul piano controfattuale, all’incidente in disamina, visto che quel rischio – che avrebbe dovuto essere adeguatamente valutato e su cui i lavoratori avrebbero dovuto essere specificamente formati – si è poi concretizzato proprio in ragione di tali mancanze”.
E la richiesta del ricorrente sul tema della formazione dei lavoratori è inammissibile, perché “pretende una rivalutazione dei fatti da parte della cassazione in senso difforme da quanto accertato da entrambi i giudici di merito, i quali hanno congruamente e logicamente motivato in ordine alla mancanza di una corretta formazione dei lavoratori da parte dell’imputato, al di là di una mera formazione ‘sul campo’, chiaramente inidonea e comunque insufficiente rispetto a quanto prescritto dalla normativa antinfortunistica”.
Le conclusioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, dopo aver risposto negativamente anche ad altri motivi del ricorso, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al rimborso delle spese di giudizio in favore della parte civile.