Il contratto a chiamata senza valutazione dei rischi diventa a tempo pieno

Il contratto a chiamata senza valutazione dei rischi diventa a tempo pieno

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Il datore di lavoro che utilizza il contratto intermittente senza aver effettuato la valutazione dei rischi per la salute e sicurezza sul lavoro deve essere sanzionato con la trasformazione a tempo pieno e indeterminato del contratto stipulato con il dipendente. Con questa interpretazione l’Ispettorato nazionale del lavoro (lettera circolare 49 a metà marzo) ricostruisce il regime sanzionatorio applicabile nei casi di ricorso al job on call senza la preventiva predisposizione del documento di valutazione dei rischi.
Il tema che affronta la circolare non è tanto il divieto di utilizzo del contratto in tali situazioni, essendo pacifico che la legge (articolo 14 del Dlgs 81/2015) impedisca il ricorso al lavoro intermittente in assenza della valutazione dei rischi (come accade anche per altre forme flessibili come il contratto a termine e la somministrazione). La questione concerne, piuttosto, il tipo di sanzione applicabile.
Si potrebbe, infatti, ritenere affetto da nullità assoluta il contratto stipulato in violazione del divieto legale; la conseguenza di tale sanzione sarebbe tuttavia per certi versi paradossale, perché il lavoratore si troverebbe privo di qualsiasi tutela contrattuale. Per evitare tale effetto, la circolare ritiene applicabile il regime della nullità parziale, che comporta la conversione del contratto nella forma ordinaria.
L’Inl giunge a tale conclusione richiamando il principio già affermato dalla Corte di cassazione in relazione al contratto a termine, ma valido anche per questo caso: la contrarietà a norma imperativa di un contratto di lavoro “atipico” comporta la nullità parziale ai sensi dell’articolo 1419 del codice civile con conseguente conversione dello stesso nella “forma comune” di contratto di lavoro subordinato (Cassazione, sentenza 5241/2012).
La lettera circolare precisa che la nullità parziale del contratto stipulato contra legem e la conseguente conversione nella forma a tempo indeterminato costituisce la sanzione adeguata a colpire questi illeciti, come affermato anche da pronuncia della Corte di giustizia europea (la celebre sentenza 22 novembre 2005, causa C – 144/04) la quale ha ricordato che «il beneficio della stabilità dell’impiego deve essere inteso come un elemento portante della tutela dei lavoratori».
A conferma di questa lettura, viene anche richiamata la giurisprudenza di merito.
Secondo due pronunce del tribunale di Milano (sentenze 1806 e 1810 del 19 e 20 giugno 2017), non sarebbe ostativa alla conversione del rapporto di lavoro la circostanza che tale “sanzione” non sia espressamente prevista dal legislatore.
La circolare, quindi, giunge a una conclusione coerente con la giurisprudenza prevalente e ha il merito di ricordare l’importanza di un adempimento – la predisposizione del documento di valutazione dei rischi – non solo ai fini della prevenzione degli infortuni ma anche del corretto utilizzo del lavoro flessibile.