Sentenza sulla necessità di provare la necessità dell’utilizzo dei DPI
Importante, ai fini preventivi, l’utilizzo dei dispositivi di protezione personali, cioè di “qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo” (art. 74, D.Lgs. 81/2008). Dispositivi che devono essere impiegati – continua il Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (D.Lgs. 81/2008) – “quando i rischi non possono essere evitati o sufficientemente ridotti da misure tecniche di prevenzione, da mezzi di protezione collettiva, da misure, metodi o procedimenti di riorganizzazione del lavoro” (art. 75)
E in particolare soffermiamoci sull’uso di protezioni per gli occhi e il viso, con particolare riferimento agli occhiali di protezione, ad esempio contro la proiezione di schegge o contro schizzi di liquidi, polveri, gas e metalli fusi.
Tuttavia non sempre è facile comprendere nei luoghi di lavoro se l’utilizzo di una protezione per gli occhi e il viso, in relazione alle condizioni poste dall’art. 75 del Testo Unico, sia necessaria.
È infatti una recente sentenza della Corte di Cassazione, la sentenza n. 56104 del 15 dicembre 2017, relativa ad un ricorso in relazione ad un giudizio relativo ad un infortunio avvenuto per carenza di occhiali di protezione, a parlare della necessità che i giudici di merito nel ritenere indispensabile l’utilizzo del DPI menzionino la “fonte di prova di tale assunto”.
Veniamo alla breve sentenza n. 56104.
Nella pronuncia della Corte di Cassazione si indica che la Corte di Appello di Ancona ha, in questo caso (6 settembre 2006), “dichiarata l’improcedibilità dell’azione penale per intervenuta prescrizione del reato”, confermato le “statuizioni civili di condanna emesse dal Tribunale di Macerata nei confronti di C.M. per il reato previsto dall’art.590, commi 2 e 3, cod. pen. per avere, in qualità di datore di lavoro, omesso di munire il lavoratore D.Y. di occhiali di protezione, così cagionando al medesimo lesioni personali con postumi consistenti nell’indebolimento permanente della vista”.
Contro tale sentenza ricorre C.M., “limitatamente alle statuizioni civili, deducendo violazione dell’art.606, comma 1, lett.b) cod.proc.pen. in relazione all’art.590 cod. pen., violazione dell’art.606, comma 1, lett.c) in relazione agli artt. 192 e 603 cod.proc.pen. e comunque mancanza della motivazione”.
Il ricorrente lamenta, in particolare, che la Corte di Appello “abbia affermato che l’attività lavorativa richiedeva certamente l’utilizzo di occhiali di protezione nonostante l’Ispettore della sicurezza sul lavoro, sentito come testimone, avesse ritenuto non indispensabile tale presidio, trascurando di spiegare le ragioni del diniego di accertamento mediante perizia di quanto dichiarato dal testimone”.
Veniamo alle conclusioni della sentenza.
In linea di principio si indica, per quanto concerne il vizio di motivazione, che la Corte di Cassazione “ha più volte affermato che il giudice del gravame di merito non è tenuto ad esaminare espressamente ogni elemento istruttorio acquisito nel corso del processo, né a fornire espressa spiegazione in merito al valore probatorio di tutte le emergenze istruttorie, laddove dall’esame di alcune prove a sostegno della decisione possa implicitamente desumersi l’irrilevanza o l’inattendibilità delle prove contrarie, essendo necessario e sufficiente che spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dalle quali si dovranno ritenere implicitamente disattese le opposte deduzioni difensive ancorché non apertamente confutate. In altre parole, non rappresenta vizio censurabile l’omesso esame critico di ogni questione sottoposta all’attenzione del giudice di merito qualora dal complessivo contesto argomentativo sia desumibile che alcune questioni siano state implicitamente rigettate o ritenute non decisive, essendo a tal fine sufficiente che la pronuncia enunci con adeguatezza e logicità gli argomenti che si sono ritenuti determinanti per la formazione del convincimento del giudice (Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, Reggio, Rv. 25498801; Sez.6, n.49970 del 19/10/2012, Muià, Rv.25410701; Sez.4, n.34747 del 17/05/2012, Parisi, Rv.25351201; Sez.4, n.45126 del 6/11/2008, Ghisellini, Rv.24190701)”.
Tuttavia – continua la Cassazione – valutando la sentenza impugnata alla luce di tale principio “ne emerge una motivazione carente e non satisfattiva. I giudici di merito hanno affermato che le mansioni alle quali era addetto il lavoratore rendevano indispensabile l’utilizzo degli occhiali di protezione senza menzionare la fonte di prova di tale assunto, limitandosi a ritenere infondata l’opposta tesi introdotta nel giudizio dall’Ispettore che aveva svolto il sopralluogo nel cantiere nell’immediatezza del fatto e senza esaminare le istanze difensive tendenti all’integrazione istruttoria”.
E si ritiene, invece, necessario che il giudice di merito “fornisca precisa e adeguata analisi del complessivo quadro probatorio alla luce delle specifiche argomentazioni difensive in merito all’elemento materiale del reato. Laddove con l’atto di appello sia stata denunciata la contraddittorietà o insufficienza della prova in ordine ad uno degli elementi costitutivi del reato oggetto di accertamento, e la sentenza gravata contenga anche una decisione sugli interessi civili, il giudice di secondo grado, pur prendendo atto della sopravvenuta causa estintiva del reato, è infatti chiamato a valutare approfonditamente il compendio probatorio (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 24427301; Sez. 6, n. 5888 del 21/01/2014, Bresciani, Rv. 25899901; Sez. 5, n. 28289 del 06/06/2013, Cologno, Rv. 25628301; Sez. 6, n. 16155 del 20/03/2013, Galati, Rv. 25566601)”.
Inoltre le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno, altresì, recentemente precisato che, “nel caso in cui il giudice di appello dichiari non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato senza adeguatamente motivare in ordine alla responsabilità dell’imputato ai fini delle statuizioni civili, l’eventuale accoglimento del ricorso per cassazione proposto dall’imputato impone l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, a norma dell’art. 622 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 40109 del 18/07/2013, Sciortino, Rv. 25608701): formula di annullamento che, pertanto, è quella da privilegiare nel caso di specie, con rinvio al giudice civile che deciderà anche sulle spese processuali per questa fase di giudizio”.
In definitiva il ricorso è ritenuto fondato e la Corte di Cassazione “annulla la sentenza impugnata agli effetti civili e rinvia per il giudizio sul punto al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di cassazione”.